giovedì 26 novembre 2009

La distruzione dei beni culturali come arma

La distruzione dei beni culturali come arma
Fabrizio Battistelli
26 MAR 2003 Europa

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Nelle lotte ìnteretniche che hanno insanguinato la ex Jugoslavia, due sono i tabù che maggiormente hanno colpito la sensibilità dell’opinione pubblica: la distruzione delle opere storielle, artistiche e religiose del nemico, e lo stupro etnico. Apparentemente distanti luna dall’altra, in realtà queste due forme estreme di violenza condividono numerosi punti in comune: innanzitutto distruggere chiese e moschee, così come violentare donne, non apporta alcun vantaggio dal punto di vista tattico, cioè dei rapporti di forza sul campo. Entrambe però puntano dritto al cuore dell’antagonista: colpiscono le fonti del passato (il retaggio culturale) e le fonti del futuro (la riproducibilità fisica e simbolica del gruppo).

Questo essere "provocati" dallo stile dell’altro è emerso in modo particolarmente drammatico nei Balcani. Il ponte di Mestar, dell’unica campata ogivale così manifestamente "ottomana" (infatti è noto come "la Mezzaluna fossile") è stato preso a cannonate il 9 novembre 199 3 da un carro armato bosniaco croato. Le architetture gotico veneziane di Dubrovnik, l’antica Ragusa di Dalmazia, così esasperatamente "occidentali" agli occhi di alcuni, sono stati oggetto di bombardamenti tanto militarmente inutili, quanto psicologicamente rivelatori, ad opera dei serbi. Un'intera ritta, Sarajevo, è stata assediata per oltre tre anni anche in quanto città,cioè luogo di incontro, centro di risorse e di scambi, emblema di vita associata; tanto da far parlare di urbicidio.
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foto dal nostro archivio: il ponte di Mostar

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