sabato 19 dicembre 2009

sabato 12 dicembre 2009

lunedì 7 dicembre 2009

martedì 1 dicembre 2009

sabato 28 novembre 2009

In Kosovo è allarme per i monasteri: via il presidio degli italiani Kfor-Nato

In Kosovo è allarme per i monasteri: via il presidio degli italiani Kfor-Nato
Tommaso Di Francesco
il manifesto 25 novembre 2009, p. 8

BALCANI I generale D'Alessandro: da oggi i nostri militari ridurranno i presidi a Decani e al patriarcato di Pec. Arriverà la protezione dell'ex Uck?

Preoccupa la notizia arrivata ieri dallo storico monastero di Visoki Decani in Kosovo. Anche perché in dieci anni di occupazione Nato e di amministrazione Unmik ben 150 monasteri sono stati rasi al suolo dai gruppi kosovaro albanesi dell'ex Uck. Il comandante del contingente italiano Kfor-Nato D'Alessandro incontrando i monaci ha annunciato che da oggi, 25 novembre, i nostri militari cominceranno a lasciare i presidi armati che, con tank e posti di blocco, proteggono, dopo i pogrom del 2004, i monasteri ortodossi. E il generale italiano promette, non convincendo: «Saranno di meno ma di maggiore qualità». A Belgrado il governo serbo e il presidente Boris Tadic seguono con apprensione la vicenda.
Già alla conferenza di questi giorni sulla «libertà religiosa e diritti civili», organizzata a Roma da «Salvaimonasteri» è arrivata la protesta dell'Igumeno di Visoki Decani, monsignor Teodosje, impossibilitato a partecipare per la morte del patriarca Pavle. «Nel suo ultimo rapporto la Commissione Ue - ha detto Teodosje - ha denunciato il sistema giudiziario del Kosovo come incapace e indisponibile a processare atti di violenza contro i serbi. Dei quattro attacchi con armi a lunga gittata contro il nostro monastero, solo per l'ultimo il colpevole è stato individuato e processato. È nostra convinzione che finché non si creino le condizioni basilari per il rientro dei 200.000 espulsi, per la restituzione delle proprietà usurpate, per la fine del clima di linciaggio e terrore che ha paralizzato la vita della Chiesa e delle comunità serbe, la presenza delle forze internazionali della Kfor è di fondamentale importanza». «La riduzione in tempi anticipati della presenza militare - ha concluso Teodosje - sarebbe per gli estremisti un incoraggiamento a continuare ciò che hanno iniziato. Purtroppo, il comandante italiano ha dato conferma ai monaci del ritiro del contigente italiano per il 25 novembre. Resterebbe solo una pattuglia italiana a presidiare i monasteri mentre il comando di Camp Sparta passerà agli albanesi. Il ritiro avrà conseguenze gravissime».
La riduzione della presenza italiana in Kosovo, e in Bosnia viene motivata dalla scelta di riallocare i soldati in altri scenari di guerra come l'Afghanistan, riducendo il ruolo della Nato nei Balcani perché avviati «alla normalità e alla pacificazione». Al contrario, dopo le varie guerre umanitarie alle quali la Nato ha partecipato schierata, non la pace si è costruita ma un deserto. In Kosovo in particolare si è avviata un'indipendenza etnica unilateralmente proclamata nel febbraio 2008, sponsorizzata da Nato e Stati uniti e confermata ora da Obama. Nonostante la Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza Onu che assunse la Pace di Kumanovo che metteva fine nel 1999 alla guerra «umanitaria» di raid aerei su Serbia e Kosovo, da una parte consentendo l'ingresso della Nato, ma dall'altro confermando la sovranità sul Kosovo della Serbia.
«È nella Risoluzione 1244 - dice allarmato padre Ksenofont del Patriarcato di Pec - che sta scritto che in un periodo considerato più calmo, a guardia dei monasteri deve tornare personale serbo. Così il diritto internazionale vien fatto a pezzi». Intanto lo stato autoproclamato del Kosovo, dopo lo «scippo» perpetrato ai danni del catasto delle proprietà serbe, avoca a sé i monasteri. Lo scontro è arrivato all'Unesco, dove il nuovo governo di Pristina rivendica il patrimonio dei monasteri serbo-ortodossi come «tradizione storica kosovaro-albanese». Insomma, il rischio è che a guardia dei monasteri ortodossi arrivi «legalmente» o la polizia o il nuovo esercito kosovaro-albanese, cioè i membri dell'ex Uck protagonisti delle distruzioni di monasteri di questi ultimi dieci anni. Che accadrà quando bisognerà, come da tradizione, eleggere nel monastero di Pec il nuovo patriarca serbo-ortodosso?
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nel disegno, dal nostro archivio, Cattedrale Porch - Traù

giovedì 26 novembre 2009

donna cattolica della Bosnia con Tattoo agli inizi del 900

donna cattolica della Bosnia con Tattoo agli inizi del 900

Vedua di Mostar

Vedua di Mostar

Fedeli escono dalla Chiesa di Mostar


Fedeli escono dalla Chiesa di Mostar

Panoramica della località di Gravosa

panoramica della località di Gravosa

La distruzione dei beni culturali come arma

La distruzione dei beni culturali come arma
Fabrizio Battistelli
26 MAR 2003 Europa

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Nelle lotte ìnteretniche che hanno insanguinato la ex Jugoslavia, due sono i tabù che maggiormente hanno colpito la sensibilità dell’opinione pubblica: la distruzione delle opere storielle, artistiche e religiose del nemico, e lo stupro etnico. Apparentemente distanti luna dall’altra, in realtà queste due forme estreme di violenza condividono numerosi punti in comune: innanzitutto distruggere chiese e moschee, così come violentare donne, non apporta alcun vantaggio dal punto di vista tattico, cioè dei rapporti di forza sul campo. Entrambe però puntano dritto al cuore dell’antagonista: colpiscono le fonti del passato (il retaggio culturale) e le fonti del futuro (la riproducibilità fisica e simbolica del gruppo).

Questo essere "provocati" dallo stile dell’altro è emerso in modo particolarmente drammatico nei Balcani. Il ponte di Mestar, dell’unica campata ogivale così manifestamente "ottomana" (infatti è noto come "la Mezzaluna fossile") è stato preso a cannonate il 9 novembre 199 3 da un carro armato bosniaco croato. Le architetture gotico veneziane di Dubrovnik, l’antica Ragusa di Dalmazia, così esasperatamente "occidentali" agli occhi di alcuni, sono stati oggetto di bombardamenti tanto militarmente inutili, quanto psicologicamente rivelatori, ad opera dei serbi. Un'intera ritta, Sarajevo, è stata assediata per oltre tre anni anche in quanto città,cioè luogo di incontro, centro di risorse e di scambi, emblema di vita associata; tanto da far parlare di urbicidio.
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foto dal nostro archivio: il ponte di Mostar

Negozi turchi a Sarajevo

Negozi turchi a Sarajevo

Ponte di Mostar

II ponte di Mostar torna crocevia delle civiltà

Il Gazzettino, 24 luglio 2004

Mostar. II momento tanto atteso ieri è arrivato. Il Ponte Vecchio di Mostar è stato riaperto, 11 anni dopo essere stato distrutto dalle cannonate croate in un atto che divenne il simbolo della ferocia della guerra nella ex Jugoslavia. Lo "Stari Most" fu distrutto per cancellare l'identità musulmana di Mostar e di tutta la Bosnia, ma anche il simbolo della convivenza tra croati e musulmani, il crocevia di due civiltà, Oriente e Occidente.
Alla presenza di una cinquantina tra capi di Stato e di Governo, di ministri degli Esteri e diplomatici, principe Carlo d'Inghilterra compreso, il ponte sulla Neretva è stato riaperto. L'Italia è stata rappresentata dal ministro degli Esteri Franco Frattini, a sottolineare il ruolo determinante avuto dal nostro Paese nella ricostruzione: il 27 giugno di due anni fa fu il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a posare la prima pietra. Con un contributo complessivo di 3 miliardi e 150 milioni di dollari, l'Italia è il primo Paese finanziatore del «Mostar pilot cultural project» della Banca Mondiale.
«La ricostruzione del Vecchio Ponte di Mostar sono il simbolo della vittoria del bene e della pace, la vittoria di una Bosnia-Erzegovina multietnica e multiculturale» ha detto il presidente di turno della Bosnia, il musulmano Sulejman Tibie.
Stipe Mesic, il presidente della Croazia - Paese che ha partecipato con circa 500.000 euro alla ricostruzione del ponte - ha dichiarato al suo arrivo a Mostar di non aver mai potuto immaginare la città senza il suo Vecchio ponte e di essere rimasto inorridito quando ha saputo della sua distruzione. «In un Paese che nella guerra ha perso più di 200.000 persone - ha detto Chris Patten, commissario Ue per la politica estera - a qualcuno può sembrare scioccante dare ampia attenzione agli edifici distrutti, ma le costruzioni che ci circondano parlano di noi stessi».

Montenegro

Montenegro

Ma questa Storia importa a qualcuno?

Il sole 24 ore, 04/04/1999
Ma questa Storia importa a qualcuno?
Giuseppe Galasso

Nonostante molti volenterosi esercizi e rinvii, le radici storiche del conflitto attuale in ciò che resta della Jugoslavia non sembrano riscuotere molto interesse nell'opinione corrente. Fa, anzi, un po' sorridere l'insistenza con cui - a proposito del Kosovo - si ricorda la battaglia del 1389, nella quale i serbi tentarono di contrastare l'espansione turca nei Balcani e che si risolse in una loro grande sconfitta: dal 1459, dopo una graduale conquista, i turchi dominarono anche nelle regioni dell'attuale Jugoslavia. Fa sorridere, perché si tratta, in pratica, dell'unico ricordo corrente della storia serba, che si è snodata, invece, nei Balcani dal secolo VII in poi. Dopo, si salta direttamente all'attentato di Sarajevo nel 1914, alla Seconda guerra mondiale e a Tito. E, per quanto riguarda quest'ultimo si insiste in una sua quasi mitica esaltazione. Si dimentica il carattere dittatoriale del suo regime, che comprimeva, non armonizzava le tensioni etniche del Paese e, così facendo, le rendeva potenzialmente più aspre (e non ce n'era alcun bisogno, perché erano asperrime, di per sé, da sempre).
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La piazza del mercato di Cettinje


La piazza del mercato di Cettinje

La sorgente del Buna vicino a Mostar

La sorgente del Buna vicino a Mostar

LA PREISTORIA DEI BALCANI SCOPERTA DA CAMBRIDGE

Il Sole 24 Ore, 22/12/1985
LA PREISTORIA DEI BALCANI SCOPERTA DA CAMBRIDGE

Non conosciamo molto intorno alla preistoria dei Balcani. L' eta' senza date la vediamo piu' fiorente in altri luoghi. I popoli che abitarono quella regione _ tanto vicina a noi _ ci sembrano un po' misteriosi, avvolti nella nebbia di un passato che non ha voluto lasciare le consuete tracce. L' ultimo volume della dell' Universita' di Cambridge, edito in lingua italiana per le edizioni de Il Saggiatore, mostra invece il volto di questo mondo. Un mondo in cui nacquero i primi passi dei rumeni, degli albanesi, gli stessi che durante il Neolitico e l' Eneolitico furono un popolo avente "gruppi umani con un' organizzazione interna basata su un consumo e una produzione collettivi>. Va detto che l' edizione italiana aggiorna con i dati degli ultimi ritrovamenti archeologici il testo inglese. E' un lavoro vasto e meticoloso, la cui seconda parte, dedicata all' eta' del ferro in Medio Oriente, presenta mondi dal fascino sottile come l' Assiria, gli stati siro-hittiti, Urartu (paese "di montagne, di laghi e di fiumi" , dove si cacciava con i carri il leone e il toro selvaggio, il cervo e il leopardo). L' eta' del ferro vede l' ascesa di due grandi potenze: l' assiria e la babilonese. Quest' ultima _ cosi' infelice nelle sue fonti _ e' integrata nel volume con le fresche acuisizioni dedotte dai recenti scavi, soprattutto quelli effettuati negli insediamenti meridionali dell' Iraq. Il lettore viene informato su ogni particolare delle due aree per il periodo che corre dal X all' VIII secolo prima della nostra era. E' un' opera preziosa, dunque. Per terminare questo "monumento" alla storia antica in veste italiana mancano pochi volumi. Ci auguriamo che le vicende de Il Saggiatore non ne impediscano l' uscita, ma soprattutto che non si ricorra anche in questo caso al macero tanto caro a chi non ama completare le opere. (Ar. To.) Universita' di Cambridge, "La Preistoria dei Balcani e l' Eta' del Ferro in Medio Oriente" , Il Saggiatore, Milano 1985, pp. 676, L. 80.000.

Piazza del Mercato a Sarajevo

Piazza del Mercato a Sarajevo

La fontana Onofrio - Ragusa

La fontana Onofrio - Ragusa

Abbazia - Dopo la Tempesta

Abbazia - Dopo la Tempesta

Abbazia

Abbazia