Tommaso Di Francesco
il manifesto 25 novembre 2009, p. 8
BALCANI I generale D'Alessandro: da oggi i nostri militari ridurranno i presidi a Decani e al patriarcato di Pec. Arriverà la protezione dell'ex Uck?
Preoccupa la notizia arrivata ieri dallo storico monastero di Visoki Decani in Kosovo. Anche perché in dieci anni di occupazione Nato e di amministrazione Unmik ben 150 monasteri sono stati rasi al suolo dai gruppi kosovaro albanesi dell'ex Uck. Il comandante del contingente italiano Kfor-Nato D'Alessandro incontrando i monaci ha annunciato che da oggi, 25 novembre, i nostri militari cominceranno a lasciare i presidi armati che, con tank e posti di blocco, proteggono, dopo i pogrom del 2004, i monasteri ortodossi. E il generale italiano promette, non convincendo: «Saranno di meno ma di maggiore qualità». A Belgrado il governo serbo e il presidente Boris Tadic seguono con apprensione la vicenda.
Già alla conferenza di questi giorni sulla «libertà religiosa e diritti civili», organizzata a Roma da «Salvaimonasteri» è arrivata la protesta dell'Igumeno di Visoki Decani, monsignor Teodosje, impossibilitato a partecipare per la morte del patriarca Pavle. «Nel suo ultimo rapporto la Commissione Ue - ha detto Teodosje - ha denunciato il sistema giudiziario del Kosovo come incapace e indisponibile a processare atti di violenza contro i serbi. Dei quattro attacchi con armi a lunga gittata contro il nostro monastero, solo per l'ultimo il colpevole è stato individuato e processato. È nostra convinzione che finché non si creino le condizioni basilari per il rientro dei 200.000 espulsi, per la restituzione delle proprietà usurpate, per la fine del clima di linciaggio e terrore che ha paralizzato la vita della Chiesa e delle comunità serbe, la presenza delle forze internazionali della Kfor è di fondamentale importanza». «La riduzione in tempi anticipati della presenza militare - ha concluso Teodosje - sarebbe per gli estremisti un incoraggiamento a continuare ciò che hanno iniziato. Purtroppo, il comandante italiano ha dato conferma ai monaci del ritiro del contigente italiano per il 25 novembre. Resterebbe solo una pattuglia italiana a presidiare i monasteri mentre il comando di Camp Sparta passerà agli albanesi. Il ritiro avrà conseguenze gravissime».
La riduzione della presenza italiana in Kosovo, e in Bosnia viene motivata dalla scelta di riallocare i soldati in altri scenari di guerra come l'Afghanistan, riducendo il ruolo della Nato nei Balcani perché avviati «alla normalità e alla pacificazione». Al contrario, dopo le varie guerre umanitarie alle quali la Nato ha partecipato schierata, non la pace si è costruita ma un deserto. In Kosovo in particolare si è avviata un'indipendenza etnica unilateralmente proclamata nel febbraio 2008, sponsorizzata da Nato e Stati uniti e confermata ora da Obama. Nonostante la Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza Onu che assunse la Pace di Kumanovo che metteva fine nel 1999 alla guerra «umanitaria» di raid aerei su Serbia e Kosovo, da una parte consentendo l'ingresso della Nato, ma dall'altro confermando la sovranità sul Kosovo della Serbia.
«È nella Risoluzione 1244 - dice allarmato padre Ksenofont del Patriarcato di Pec - che sta scritto che in un periodo considerato più calmo, a guardia dei monasteri deve tornare personale serbo. Così il diritto internazionale vien fatto a pezzi». Intanto lo stato autoproclamato del Kosovo, dopo lo «scippo» perpetrato ai danni del catasto delle proprietà serbe, avoca a sé i monasteri. Lo scontro è arrivato all'Unesco, dove il nuovo governo di Pristina rivendica il patrimonio dei monasteri serbo-ortodossi come «tradizione storica kosovaro-albanese». Insomma, il rischio è che a guardia dei monasteri ortodossi arrivi «legalmente» o la polizia o il nuovo esercito kosovaro-albanese, cioè i membri dell'ex Uck protagonisti delle distruzioni di monasteri di questi ultimi dieci anni. Che accadrà quando bisognerà, come da tradizione, eleggere nel monastero di Pec il nuovo patriarca serbo-ortodosso?
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nel disegno, dal nostro archivio, Cattedrale Porch - Traù
il manifesto 25 novembre 2009, p. 8
BALCANI I generale D'Alessandro: da oggi i nostri militari ridurranno i presidi a Decani e al patriarcato di Pec. Arriverà la protezione dell'ex Uck?
Preoccupa la notizia arrivata ieri dallo storico monastero di Visoki Decani in Kosovo. Anche perché in dieci anni di occupazione Nato e di amministrazione Unmik ben 150 monasteri sono stati rasi al suolo dai gruppi kosovaro albanesi dell'ex Uck. Il comandante del contingente italiano Kfor-Nato D'Alessandro incontrando i monaci ha annunciato che da oggi, 25 novembre, i nostri militari cominceranno a lasciare i presidi armati che, con tank e posti di blocco, proteggono, dopo i pogrom del 2004, i monasteri ortodossi. E il generale italiano promette, non convincendo: «Saranno di meno ma di maggiore qualità». A Belgrado il governo serbo e il presidente Boris Tadic seguono con apprensione la vicenda.
Già alla conferenza di questi giorni sulla «libertà religiosa e diritti civili», organizzata a Roma da «Salvaimonasteri» è arrivata la protesta dell'Igumeno di Visoki Decani, monsignor Teodosje, impossibilitato a partecipare per la morte del patriarca Pavle. «Nel suo ultimo rapporto la Commissione Ue - ha detto Teodosje - ha denunciato il sistema giudiziario del Kosovo come incapace e indisponibile a processare atti di violenza contro i serbi. Dei quattro attacchi con armi a lunga gittata contro il nostro monastero, solo per l'ultimo il colpevole è stato individuato e processato. È nostra convinzione che finché non si creino le condizioni basilari per il rientro dei 200.000 espulsi, per la restituzione delle proprietà usurpate, per la fine del clima di linciaggio e terrore che ha paralizzato la vita della Chiesa e delle comunità serbe, la presenza delle forze internazionali della Kfor è di fondamentale importanza». «La riduzione in tempi anticipati della presenza militare - ha concluso Teodosje - sarebbe per gli estremisti un incoraggiamento a continuare ciò che hanno iniziato. Purtroppo, il comandante italiano ha dato conferma ai monaci del ritiro del contigente italiano per il 25 novembre. Resterebbe solo una pattuglia italiana a presidiare i monasteri mentre il comando di Camp Sparta passerà agli albanesi. Il ritiro avrà conseguenze gravissime».
La riduzione della presenza italiana in Kosovo, e in Bosnia viene motivata dalla scelta di riallocare i soldati in altri scenari di guerra come l'Afghanistan, riducendo il ruolo della Nato nei Balcani perché avviati «alla normalità e alla pacificazione». Al contrario, dopo le varie guerre umanitarie alle quali la Nato ha partecipato schierata, non la pace si è costruita ma un deserto. In Kosovo in particolare si è avviata un'indipendenza etnica unilateralmente proclamata nel febbraio 2008, sponsorizzata da Nato e Stati uniti e confermata ora da Obama. Nonostante la Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza Onu che assunse la Pace di Kumanovo che metteva fine nel 1999 alla guerra «umanitaria» di raid aerei su Serbia e Kosovo, da una parte consentendo l'ingresso della Nato, ma dall'altro confermando la sovranità sul Kosovo della Serbia.
«È nella Risoluzione 1244 - dice allarmato padre Ksenofont del Patriarcato di Pec - che sta scritto che in un periodo considerato più calmo, a guardia dei monasteri deve tornare personale serbo. Così il diritto internazionale vien fatto a pezzi». Intanto lo stato autoproclamato del Kosovo, dopo lo «scippo» perpetrato ai danni del catasto delle proprietà serbe, avoca a sé i monasteri. Lo scontro è arrivato all'Unesco, dove il nuovo governo di Pristina rivendica il patrimonio dei monasteri serbo-ortodossi come «tradizione storica kosovaro-albanese». Insomma, il rischio è che a guardia dei monasteri ortodossi arrivi «legalmente» o la polizia o il nuovo esercito kosovaro-albanese, cioè i membri dell'ex Uck protagonisti delle distruzioni di monasteri di questi ultimi dieci anni. Che accadrà quando bisognerà, come da tradizione, eleggere nel monastero di Pec il nuovo patriarca serbo-ortodosso?
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nel disegno, dal nostro archivio, Cattedrale Porch - Traù